E-vado

Misuro la cella a piccoli passi, un piede dietro l’altro: punta su tallone. Con calma! Non c’è fretta: di tempo ne ho tanto! Lunghezza e larghezza sono quasi uguali, quindici piedi per dodici, scalzo.
Accelero e conto i secondi, da parete a parete; al ritorno rallento, esagero, passo di tartaruga. Leggi tutto...

M’impegno ad essere presente. Sento il piede che appoggia sul fresco pavimento in piastrelle di cemento. Allargo bene le dita come le dovessi allungare a terra. Ruoto sul tallone.
Ritorno sulle punte, riparto a saltelli. Provo con le gambe tremolanti, accucciato, chinato in avanti, di fianco o piegato all’indietro sulle reni. Retrocedo trascinando i piedi, cammino da fermo.
Quando ne ho abbastanza, mi siedo sul bordo della branda e osservo là dov’erano i miei passi. Ne ho fatta di strada! Strade d’asfalto rumorose, viottoli e sentieri di pietre attraverso fitti boschi verdeggianti, immersi in arie profumate. I cieli azzurri non li potrò mai scordare, e le nuvole bianche, lente e fruscianti. Almeno così le sentivo! Fruscio di nuvole candide sospese nel tempo infinito; calme e serene, sicure di sé e fiduciose nel lasciarsi portare da tiepide arie primaverili.
Prati d’erbe lussureggianti e fiori: fiori e fiori, infinite praterie multicolori da percorrere a passi lunghi e ben distesi o di corsa, col fiatone.
Chiudo gli occhi per qualche istante e mi sento respirare. Un brivido discreto percorre la schiena fino alla nuca. Quanto tempo sarà passato dagli ultimi passi? Inalo dal naso, lentamente, chiudo di nuovo gli occhi ed espirando millimetricamente conto: uno, due, tre quattro, cinque… fino a ventuno. Trattengo il respiro: ancora uno, due, tre quattro, cinque… ed inspiro. Sempre contando!
Vado avanti per un po’, poi mi stendo ed osservo il respiro, il leggero torpore che sopraggiunge ed occupa mente e pensieri. Sto con me stesso e potrei essere ovunque se non fosse per quel tarlo fastidioso che m’orienta lo sguardo al soffitto in penombra: così piccolo da indurmi a comprenderlo con un occhio solo. Lo osservo, ora con uno ora con l’altro, socchiudendo alternativamente le palpebre ormai avvezze al buio e al silenzio.
Meno vedo, più sento! Scricchiolii lontani e porte accostate o sbattute, passi affrettati: chissà chi è e dove va? Da fuori, dietro la grata di quella finestra, aperta anche d’inverno, qualche pigra voce mi raggiunge inascoltata, da chissà quali distanze. È come un vago ricordo o un sogno ormai sbiadito: vaghe reminiscenze d’un mondo che era e ora non più. Non saprei dire neppure se ne provo rimpianto. Il mio mondo ora è qui, fra queste pareti dall’intonaco scrostato e un po’ ammuffito. Hanno un particolare odore: ruvido anch’esso, come al tatto. Sa di vestiti lisi e sdruciti, dismessi, di seconda mano. Erano di tanti colori ma non li saprei abbinare. Non saprei più accompagnare cravatte e camicie a calzoni stirati: senza cintura non li potrei più indossare. Meglio la tuta blu con le righe bianche di lato!
Eppure un tempo cercavo cravatte a fiori, molto colorate; una aveva disegnato un luminoso paesaggio amalfitano: case bianche, rivestite di rosse bouganville, anfore d’argilla biscotto, maioliche decorate a mano, cielo azzurro e profumo di mare.
Dallo spioncino della porta grigia m’arriva un denso odore di sugo al pomodoro. È pronta la sbobba. Mi preparo: penne rigate al ragù, cotoletta alla milanese, insalata e un quarto di vino. Acqua ne ho ancora. La moka col caffè e già pronta sul fornello. È già trascorsa una mezza giornata!
Da quanto son qui?
Una qualche colpa mi ha condotto qui o sono qui per colpa di qualcuno?
Quasi non lo ricordo più! Non è poi così importante!
Vivo qui, da solo, o sono solo, qui, con la mia vita?
Sono qui! Vivo!
Un raggio di sole, furtivamente entra dalla finestra. Come un dardo sottile attraversa la cella e si conficca sulla parete di fronte.
Mi alzo dalla branda e cerco di intercettarlo, all’altezza della fronte. Lo sento, caldo, penetrare tra gli occhi ed espandersi sul viso. Lo sento nel naso, in bocca, fino alla nuca, lungo il collo, alle spalle e alle braccia. Piano piano tutto il corpo ne è pervaso. Mi scalda, mi inebria mi dà altra vita.
Chiudo gli occhi! Godo di questo improvviso ed inaspettato regalo. Sono qui, rinchiuso, ma potrei essere altrove: a cielo aperto, su un monte, in riva al mare, sospeso nell’aria, immerso nell’acqua. Uno strano brivido mi percorre la schiena, benefico e generoso. Divento sempre più leggero, non ho percezione del pavimento, delle pareti, del soffitto. Sono e basta!
Sento l’irrefrenabile desiderio di togliermi i vestiti. Lentamente mi spoglio ricercando il contatto con quel raggio di sole sulla fronte.
Nudo, mi sento avvolto da un calore buono, come abbracciato e accarezzato dalle cento braccia di una madre amorevole e attenta.
Allargo le braccia quasi ad offrire sempre più epidermide a quella sensazione di benessere cui mi sto abbandonando senza riserve né paure.
Sono e basta!
I sensi si espandono gradualmente fino a percepire interi mondi e vasti universi.
Apro gli occhi, li offro alla luce e-vado!

Lascia un commento

Scroll Up