Parlo da solo


Parlo da solo

Parlare da soli e non dire cazzate: questa è la sfida!
Di tanto in tanto alle parole in libertà s’intrecciano pensieri che nulla hanno a che fare con quanto sto dicendo, ma insistono e deviano brandelli di coscienza che, lungi dall’essere ancora matura espressione di Me, rimangono “rash cutanei” sorpresi, appena sotto pelle, ad indicare motivi nascosti o meschine verità. Leggi tutto...

Niente che possa influenzare la voglia di sorridermi o di prendermi per il culo.
Sono solo diversivi, “en passant”, a volte stimoli indesiderati o semplici ubbìe.
Altre volte mi racconto, e non mi credo, che sono stato sfigato, che ero solo, avevo paura dell’uomo nero, amavo follemente senza essere amato, sognavo tanto e poco vivevo.
Quindi mi rispondo che non è vero!
Io stesso ho scelto sfighe, mi sono isolato, ho ospitato in casa uomini neri, rossi e gialli, ho colto a piene mani visi e sorrisi innamorati rendendoli prigionieri dei miei sogni e delle mie paure.
Così ho vissuto! Con questo viatico ho percorso la vita e son cresciuto, mio malgrado.
Son cresciuto al punto che mi guardo bene dal prendermi sul serio, dal seguire ogni pensiero, come fosse foriero di assolute verità, o umori intercambiabili dell’animo mio, come fossero indicazioni di coscienza. Li guardo, li osservo, li ringrazio e li lascio andare, come passanti che m’attraggono curioso ma che non lasciano tracce di sé né il desiderio di approfondirne la conoscenza.
Se vi è qualcosa da sapere, qualcuno da conoscere, so che accadrà da sé: saprò e conoscerò ciò che mi son dato sapere e conoscere.
E poi, che dire di questo mondo rovescio! Fatico a trovare un posto dove starmi ad osservare come testimone consapevole della mia storia e frattale olografico della mia stessa creazione.
Goffamente accenno una vaga comprensione, ammicco fingendo di conoscerne i confini, persino le origini e l’apparente mistero.
In realtà, di questo mondo, non ne capisco proprio niente, come uno straniero in un paese che non lo può o non lo vuole ospitare; ove incontro genti sconosciute e silenziose. Talvolta ne incrocio lo sguardo, tento un sorriso, un cenno senza poter ricevere o saper dare segni di comprensione.
Eppure, son certo, c’è qualcuno con cui dividere il passo ma la strada mi pare impervia e non vedo possibili mete comuni a cui tendere, spiagge ove sederci ad osservare orizzonti che ci rivelino l’ampiezza del mare. Ne sapremmo tutti di più e potremmo gioire della nostra presenza, forse innamorarci reciprocamente, o di nuove albe e sconosciuti tramonti.
Quanto a lungo e profondamente ne potremmo parlare, condividerne i dettagli e riporli nel cuore fino ad aprire altre porte alla comprensione di mondi più vasti e genti cresciute nella compassione.
Così voglio fare; ed anche se il mare, sotto il suo orizzonte sembra sempre uguale, troveremo una qualche barca per poterlo attraversare, ma insieme, cercando d’intenderci almeno coi gesti, se non con le parole, con facili sguardi e sorrisi, con lunghi silenzi, lasciandoci semplicemente guardare.
Certi mari son piccoli, come bassi ostacoli da saltare con un breve balzo. Oltre ad essi, potremmo scoprire lussureggianti terre, vaste alla bisogna per metter su casa e famiglia; terre incontaminate, proprio come nei sogni: monti e valli verdeggianti, cieli azzurri, arie frizzanti e vasti silenzi nei quali riposare. Comprenderci sarebbe un gioco da ragazzi, facile come rincorrere lucertole, arrampicarci, sorprenderci a gioire di cinguettii festosi o carezzevoli brezze su prati percorsi correndo, mano nella mano, fino al fiatone, a riderne lasciandoci cadere sul fresco d’erbe lucide punteggiate di mille fiori variopinti. Resteremmo, con gli occhi socchiusi, a penetrare le profondità del cielo con lo sguardo attento, fissato sui movimenti ondeggianti dei fotoni. Sembrano casuali, senza meta ma mi piace pensare che una mano leggera carezzi l’aria e li faccia ballare, come ondine luminose sospinte lievemente da flutti complici, sciabordanti su rive assolate.
A sera potremmo confonderci nella notte, lasciarci assorbire, coglierne i profumi e i sussurri, come nenie ripetute all’infinito da voci confortevoli e amate, fino a chiudere gli occhi e scivolare fiduciosi nel mondo dei sogni, desti e desiderosi d’altre meraviglie, come se la morte ci cogliesse ancora vivi.
D’altro canto, che può essere la morte se non andarcene a stare da un’altra parte e là ritrovare casa e famiglia, nuovi o vecchi compagni di strada con cui condividere altre avventure?
Questa può essere proprio una buona conclusione! Voglio che la morte mi colga ancora vivo!

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